“Auto ibrida” – a differenza del “full electric” – non è sinonimo di emissioni zero di anidride carbonica durante il suo utilizzo. Un’auto ibrida, infatti, emette sicuramente meno CO2 dei modelli ad alimentazione tradizionale benzina-diesel. Ma, a seconda della soluzione adottata, rispetta più o meno l’ambiente.
Basti pensare che una MHEV (Mild Hybrid Electric Vehicle) riduce le emissioni di CO2 al massimo del 10%, contro un potenziale 50%-70% di una HEV (Hybrid Electric Vehicle). Oggi la legge equipara sullo stesso piano tutte le “ibride”, che si tratti di cosiddette HEV, PHEV o PHV, MHEV e FCEV.
Ciò ha permesso di usufruire fino a oggi allo stesso modo di ecobonus e finanziamenti regionali. Una disparità che il Ministero dei Trasporti ha regolato con l’introduzione di 3 categorie, differenziate in base al livello di emissioni di CO2 secondo il ciclo NEDC effettuato nell’iter di omologazione (rigo V7 della carta di circolazione). Tale distinzione resterà in vigore fino al 31 dicembre 2020, cui seguirà una ulteriore evoluzione passando al ciclo di rilevamento WLTP.
Le 3 categorie ibride
– Gruppo I: rientrano in questa fascia le vetture che producono emissioni di anidride carbonica fino a 60 g/km. Vi rientrano le ibride plug-in (PHEV o PHV, Plug-In Hybrid Electric Vehicle), che oltre ad andare a benzina/diesel si ricaricano elettricamente con un cavo esterno.
– Gruppo II: fanno parte di questa categoria i veicoli con emissioni comprese tra 61 e 95 g/km di CO2, ovvero le HEV (Hybrid Electric Vehicle), che vedono lavorare sia propulsore (endotermico) benzina o diesel che un motore elettrico, senza possibilità di ricarica esterna.
– Gruppo III: dai 95 g/km in su di CO2 prodotte, in cui rientrano tute le MHEV (Mild Hybrid Electric Vehicle), che funzionano cioè sempre a combustione (benzina o diesel) a cui è affiancata una piccola unità elettrica che si ricarica tramite una cinghia collegata al motore endotermico o durante le frenate.
Le migliori
In tutto questo discorso non rientrano ovviamente sia le BEV (Battery Electric Vehicle) – che sono auto elettriche al 100% (il cui problema al momento è l’autonomia e le quasi inesistenti in Italia colonnine di ricarica veloce – e quelle a celle a combustibile FCEV (Fuel Cell Electric Vehicle) completamente elettriche, alimentate a idrogeno e che generano solo acqua scarto (qui la difficoltà è che gli impianti di idrogeni in Italia non si contano neanche in una mano…).
Le fuel cell ibride, invece – quelle cioè che insieme all’idrogeno hanno anche un motore endotermico – si posizionano tra il Gruppo I e il II.